Dottore, mi fa male il tempo!

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LaLivia
00martedì 18 dicembre 2007 16:24

Mamma mia, che mal di testa... Forse cambia il tempo!».
«Il callo torna a farsi sentire: l'avevo detto, io, che sarebbe arrivato il maltempo... ».
E poi: «Dottore, questo clima mi provoca continui sbalzi di pressione».
Quante volte vi è capitato di sentire considerazioni del genere? A me tante.
Sono luoghi comuni nazionalpopolari? Frasi che lasciano, consentitemi il gioco di parole, il tempo che trovano?
No, cari lettori e care lettrici di OK.

Stanchezza, calo della pressione, cefalea, sudorazione, nausea, vertigini, affanno, difficoltà d'attenzione e di apprendimento, insonnia, ansia, nervosismo, depressione... Se molti di voi accusano questi malesseri ogni qual volta il cielo fa le bizze, ebbene, la diagnosi è una soltanto: soffrite di mal di tempo. Una malattia né più né meno come tante altre e nota, nel gergo medico, con questa etichetta: meteoropatia primaria o sindrome di Balzac, dal nome dello scrittore francese che, nel romanzo Il medico di campagna, ne descrisse per primo tutti i fastidiosi disagi. Del resto, il nostro benessere psicofisico è in ogni momento il frutto di un equilibrato valzer di reazioni biochimiche, in stretta relazione con gli stimoli provenienti dall'ambiente che ci circonda. Ovvio, allora, che il mal di tempo possa turbare certi individui sensibili. Persone che, se non arrivasse una perturbazione o non si verificassero sbalzi di temperatura, godrebbero di ottima salute.

Le ragioni di questa particolare sensibilità al clima? In gioco c'è fondamentalmente un cattivo funzionamento, spesso congenito, dell'ipotalamo, la regione del cervello che svolge un ruolo cruciale nel mantenere sotto controllo la temperatura corporea. Così, di fronte al brusco mutare delle condizioni meteorologiche, finisce per impartire ordini sballati (o non ne impartisce affatto) ai centri ghiandolari, che con i loro ormoni governano il benessere generale dell'organismo. In certuni, l'ipersensibilità al tempo è invece la conseguenza di un'esagerata reazione del sistema nervoso centrale alle bizze ambientali, e questo spiegherebbe perché molti meteoropatici soffrono anche di ansia, di un malessere caratterizzato appunto da un'eccessiva, e per lo più ingiustificata, apprensione dinanzi a stimoli esterni anche insignificanti. Premesso tutto ciò, guardate un po' che corteo di fastidi possono scatenare i capricci del tempo.


Quando la pressione atmosferica scende

Immaginate così il concetto di pressione atmosferica: è quell'impalpabile involucro d'aria che ci abbraccia come una camicia di forza, perché in ogni istante miliardi di molecole aeree ci urtano e premono, per l'appunto, sul nostro corpo. Questo fattore climatico può variare. E se scende (evento che per noi meteorologi è sinonimo di tuoni, fulmini e saette), la reazione più comune, in chi patisce i cambiamenti atmosferici, è una maggiore sensibilità al dolore. Anche gli attacchi d'asma o l'inizio delle doglie nelle donne prossime al parto toccano la massima frequenza quando la pressione è in calo. Ma sono soprattutto reumatismi e dolori muscolari che si risvegliano quando la lancetta del barometro punta verso il basso. È il motivo per cui i reumatici sentono, in genere con 12-24 ore di anticipo, l'imminente arrivo delle piogge, battendo talvolta sul tempo anche i meteorologi più esperti. L'equazione cambiamento del tempo uguale dolore è quasi sempre vera, quando questo mutamento è dovuto sia a un calo della pressione sia a un rialzo dell'umidità dell'aria, condizione abbastanza normale e frequente nelle 24-36 ore prima dell'arrivo delle grandi perturbazioni.


Quanti guai se l’umidità sale

La medicina ha provato a puntare la sua lente d'ingrandimento sul sottile filo d'Arianna che lega i reumatismi ai mutamenti dell'umidità e della pressione nell'atmosfera. Giungendo alla conclusione che alta umidità più bassa pressione producono un eccessivo accumulo di acqua nelle articolazioni: da qui il caratteristico gonfiore a carico delle giunture, che, a sua volta, stimola e stira le fibre nervose. L'umidità produce anche un effetto diretto sulla pelle. Anche se non ve ne rendete conto, la sottile pellicola acquosa che avvolge il corpo tende a dilatarsi quando s'innalza la quantità di vapor acqueo nell'atmosfera, mentre si contrae quando l'aria si fa secca. Il che spiega perché i cambiamenti d'umidità provocano in genere dolore, con la tipica sensazione che la pelle tira, anche in chi ha il corpo segnato da qualche cicatrice. Ma sono sofferenze pure quando cala la temperatura, perché si riducono l'estensibilità dei tessuti connettivi e le proprietà elastiche delle articolazioni, mentre s'intensificano lo spasmo muscolare e la sensibilità al dolore delle fibre nervose. Insomma: la vulnerabilità al dolore aumenta quando la pressione scende, la temperatura s'abbassa e l'umidità aumenta.


E il vento ci mette il suo zampino

Bora, Föhn, Maestrale, Tramontana, Libeccio, Scirocco, Grecale… Quanti venti battono le nostre terre. Quasi tutti provengono da angoli del globo assai lontani, distanti anche 6.000-8.000 chilometri, e ci regalano le caratteristiche climatiche delle regioni d'origine o di quelle attraversate durante il loro lungo percorso. Così finiscono per produrre forti variazioni a carico della temperatura, dell'umidità, della pressione e talvolta anche dell'elettricità atmosferica. Alterazioni solitamente piuttosto brusche, che richiedono all'organismo un notevole sforzo d'adattamento in tempi rapidi e che perciò scatenano vere malattie nei soggetti meteosensibili. Le chiamiamo anemopatie (dal greco anemos, cioè vento, e patia, ossia malattia).
Tra i venti freschi e umidi il più noto è senza dubbio il Libeccio (dall'arabo lebeg, vento piovoso), le cui correnti sud-occidentali raggiungono le coste del Lazio, della Toscana e della Liguria, dove spesso scatena violente mareggiate (le libecciate, per l'appunto). È quasi sempre accompagnato, nella fase iniziale, da una sensibile riduzione della pressione atmosferica, circostanza che contribuisce ad aggravare ulteriormente il dolore reumatico, perché modifica l'equilibrio biochimico nei tessuti infiammati. Tuttavia, i venti più deleteri per il nostro organismo sono quelli caldi e secchi e, tra questi, il Föhn: un vento inizialmente freddo e umido, proveniente dal Nord Atlantico, e che, dopo aver scavalcato la barriera alpina centro-occidentale, acquista velocità nel precipitare giù, per 2.000-3.000 metri, sul versante padano, raggiungendo la pianura come vento irruento e tempestoso.
Nella sua vertiginosa discesa subisce una compressione e quindi un brusco riscaldamento di 8-12 gradi (è proprio da questa caratteristica di vento caldo che deriva il nome del comune asciugacapelli!). Data la sua secchezza, nel turbinoso strofinio con gli ostacoli al suolo, il Föhn si carica elettricamente, e per i soggetti meteosensibili sono guai perché vengono sopraffatti da uno stato di generale malessere con emicrania, insonnia, debolezza, nausea, gastralgia e tachicardia. Ma anche agitazione, irritabilità, senso di oppressione, difficoltà di concentrazione… Disturbi che si avvertono anche 6-12 ore prima.
Ha un effetto cattivo sulla psiche, scatenando agitazione e aggressività, anche lo Scirocco, il vento più noto di tutta la penisola perché non v'è regione che sfugga alle sue tiepide correnti. Lo sapevate? L'insidia dei venti sembra nascondersi anche negli infrasuoni (i suoni non percepibili dal nostro udito ed emessi dall'aria quando urta contro gli ostacoli), perché pare che riescano a influenzare il nostro umore.


I calli ai piedi sono rivelatori

Uno dei capisaldi dell'immaginario popolare sostiene che i calli siano precise spie delle condizioni del tempo. Vero! Ma più che i calli propriamente detti, ispessimenti circoscritti e duri dello strato più superficiale dell'epidermide, gli inquisiti, in realtà, sono i tilomi. Il tiloma è una rilevatezza cornea che tende a diffondersi negli strati profondi della pelle, nel tessuto sottocutaneo. Diciamo che i tilomi hanno la tendenza a portare la propria radice in prossimità di una fascia (i mantelli fibrosi che rivestono i piani muscolari) o di un'articolazione, vicino ad aree innervate e vascolarizzate. È indubbio che risentano di quelle modificazioni di tipo neurovegetativo che si verificano sia con i cambiamenti stagionali sia con le variazioni barometriche. Evenienze che modificano il calibro dei piccoli vasi sanguigni, e quindi la circolazione locale, nonché l'attività elettrica delle fibre nervose presenti nel derma (e dunque la sensibilità). Così come in presenza di un'ulcera gastroduodenale i disturbi digestivi presentano una riacutizzazione stagionale, con ricadute primaverili e autunnali, allo stesso modo i fattori climatici, e in particolare le impennate dell'umidità atmosferica, possono provocare la comparsa o un peggioramento del dolore nelle zone del piede provate da un tiloma. Per fortuna, i metodi per far fuori i tilomi ci sono: il trattamento consiste nella loro asportazione chirurgica, più laboriosa dell'estirpazione di una callosità a causa delle radici profonde. La cura prevede pure l'impiego di pomate cheratolitiche, che sciolgono la sostanza cornea dei tilomi, e la criochirurgia, che sfrutta le bassissime temperature.


In definitiva, siamo tutti in balia del tempo!
E se gli scienziati non hanno ancora inventato una medicina contro la meteoropatia, potete approfittare di questi segnali passeggeri per stupire amici e parenti con vostre premonizioni e decidere se uscire con l'ombrello o lasciarlo a casa, in barba a quanto sentenziato dal meteorologo di fiducia.
I vostri calli non sempre concordano con le mie previsioni in tv...


(tratto da OK la salute prima di tutto)

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