mibo239
00venerdì 27 novembre 2009 20:26
Luca Baraldi
Da fiorentina.it
Un supermanager vi seppelirà..
FIRENZE 20/02/2004
Negli anni `70 era un modesto difensore del Modena in serie C. Poi,
col diploma da ragioniere, entrò nel magico mondo delle banche e da lì
fu richiamato per mettere a posto i conti in rosso di Parma e Lazio.
Ora è in corsa per diventare vicepresidente della Lega calcio. Piani,
misteri e scalate di Luca Baraldi
MARCO LIGUORI
SALVATORE NAPOLITANO
A Roma, come del resto in Italia, un titolo di dottore non si nega a
nessuno: nemmeno a Luca Baraldi, il supermanager che da mesi viene
indicato da più parti come unico salvatore possibile per il disastrato
calcio italiano. L'ex amministratore delegato della Lazio, tornato al
Parma da poche settimane, compare appunto con questa qualifica in
tutte le comunicazioni ufficiali della società biancoceleste alla
Borsa. Come, ad esempio, la trimestrale al 31 marzo 2003, il bilancio
al 30 giugno 2003 e il prospetto informativo dell'aumento di capitale
dell'estate scorsa. E anche nei contratti firmati con i calciatori
laziali il timbro recante il suo nome contiene la sigla di dottore:
«Sono laureato in economia e commercio», ha spiegato al telefono. Ma
non ha voluto rivelare né l'Università, né l'anno di laurea:
«Questione di principio», ha detto. Alla Lazio riferiscono di non
avergli mai chiesto il titolo di studio, ma di supporre che fosse
laureato, visto il ruolo che occupava. E allora bisogna andare molto a
ritroso nel tempo. Ne ha fatta di strada, e non solo nel mondo del
calcio, quel giovane difensore dai piedi ruvidi di cui qualcuno
conserva ancora memoria a Modena. Era la fine degli anni Settanta,
periodo in cui i «canarini» furono retrocessi dalla serie B alla C1.
Da allora, Baraldi non ha più sbagliato una mossa: soprattutto il 2003
è stato il suo anno. E' arrivato alla Lazio dopo una folgorante
ascesa: partì dalla Banca Popolare dell'Emilia Romagna, dove era
arrivato a dirigere l'agenzia di Collecchio e da cui uscì nel 1994.
Passò poi all'istituto di credito francese Indosuez, prima
dell'approdo alla Banca del Monte di Parma, dove divenne in breve vice
direttore generale: andò via nel maggio 2001, e un paio di mesi dopo
fu cooptato da Calisto Tanzi al Parma Calcio come direttore generale,
e, successivamente, catapultato nella Capitale per salvare la Lazio.
Alla Popolare dell'Emilia Romagna lo ricordano, documenti ufficiali
alla mano, come ragioniere: stesso discorso alla Banca del Monte di
Parma. Si sarà dunque laureato dopo il maggio 2001 tra il salvataggio
del Parma e quello della Lazio.
Proprio i dieci mesi trascorsi a Formello, dove è approdato il 3
gennaio 2003 per andarsene il 3 novembre, sono stati un vero
capolavoro: per lui, non per la società biancoceleste. E' tutto
scritto nei bilanci: sotto la sua guida, la Lazio ha chiuso con un
rosso di 121,86 milioni. Nell'esercizio precedente, l'ultimo sotto la
guida di Sergio Cragnotti, le perdite erano state inferiori, perché
pari a 103,05 milioni. E' vero che Baraldi ha preso la guida a metà
dell'esercizio 2002-2003 e che si è imbattuto in crediti inesigibili
iscritti a bilancio dalla precedente gestione, o addirittura mai sorti
come un famoso credito di 17 milioni e 648mila euro verso l'Erario,
contestato dal collegio sindacale, ma è altrettanto vero che ha potuto
sfruttare l'ineffabile legge 27, meglio conosciuta come «spalma
perdite», che ha consentito di abbattere il valore del patrimonio
calciatori, ripartendo in dieci anni la perdita emergente. Un
risparmio considerevole, dal momento che la Lazio ha effettuato una
svalutazione di circa 213 milioni, e ha applicato la legge seguendo
l'interpretazione della Lega calcio e non quella dell'O.I.C.,
l'Organismo italiano di contabilità, che certo doveva avere una
valenza maggiore: ciò ha prodotto un risparmio ulteriore di 54milioni
e 400mila euro.
E il progetto con il quale la società biancoceleste sarebbe uscita
fuori dal tunnel, pomposamente denominato come «piano Baraldi»? Una
comica: l'ex amministratore delegato biancoceleste asserisce di aver
dimezzato il monte stipendi. Lo ha ribadito anche nelle ultime
settimane. Persino uno svogliato studente di ragionieria reputerebbe
sbagliata questa affermazione: il piano prevede che il 55% dello
stipendio sia pagato subito, e il restante 45% in 36 rate mensili di
pari importo con decorrenza primo luglio 2005 o dalla data di scadenza
del contratto se antecedente. Altro che dimezzamento. Il costo resta
assolutamente invariato: ciò che cambia è solo la natura del debito,
una parte del quale diventa di lungo periodo. Il «piano Baraldi»
consta anche di altri elementi: la conversione in azioni
dell'equivalente di cinque mesi di stipendio dei calciatori e la
richiesta di rateizzazione in dieci anni dei debiti verso l'Erario per
l'Irpef sui redditi dei calciatori. Per quanto riguarda la
conversione, per ora è saltata perché non è stata approvata
dall'assemblea dei soci entro la prevista scadenza del 20 dicembre.
Quanto alla rateizzazione, la legge impone come obbligatorie le
garanzie bancarie che la Lazio non è riuscita a ottenere. Non a caso,
l'Agenzia delle Entrate non ha ancora risposto alla richiesta, fatta
il 18 luglio. Per il suo operato, Baraldi ha ricevuto poco meno di sei
milioni di euro lordi. Un milione e 477mila in qualità di
amministatrore delegato, 4 milioni e 512mila come direttore generale.
Di questa somma fa parte anche un bonus di 2 milioni e 96mila euro,
legato al raggiungimento dell'obiettivo di diminuire il monte stipendi
laziale del 25%. E chi è stato a giudicare centrato il risultato?
Naturalmente, i vertici dirigenziali, tra cui spicca l'amministratore
delegato: ossia proprio Baraldi. E' il motivo per cui la Lazio
vorrebbe recuperare quel bonus.
Non è tutto. Baraldi è evidentemente ubiquo: poche settimane dopo
essere giunto nella Capitale, a fine gennaio 2003 è stato nominato
consigliere di amministrazione di Parmatour e il 14 marzo consigliere
di Telemec, società editrice di alcune televisioni locali del
parmigiano e del piacentino: entrambe le aziende facevano capo alla
famiglia Tanzi. In ogni caso, Baraldi ha un fiuto sopraffino: poco
prima dello scoppio della bufera Parmalat, precisamente a luglio, è
uscito dal cda di Parmatour. I motivi? Perché ha «contestato dei
verbali» e perché aveva «troppi impegni a Roma». Ma li aveva anche
quando accettò la nomina. E a metà gennaio 2004, in concomitanza con
la sua nomina ad amministratore delegato del Parma, si è dimesso anche
dal suo incarico alla Telemec. Ora è in corsa per sostituire l'ex
presidente del Parma, Stefano Tanzi, come vicepresidente della Lega
calcio. La scalata continua.
Ho trovato questo articolo, che mi fa pensare che il tipo sia un volpone col naso fino che quando c'è puzza di bruciato, lui è il primo a sentirla e a scappare, ma probabilmente ha i fiammiferi in tasca...
Forse potrebbe essere il segnale che la "familia" vuole pian piano mollare, mettendo uno espertodel mondo del calcio che probabilmente con gli agganci giusti potrebbe portare nuovi proprietari o finanziatori, ma dal suo passato sembra più uno che arriva e poi è costretto a scappare a gambe levate, piuttosto che un catalizzatore di capitali...più che un catalizzatore fose è un dissipatore di capitali...