carlos.spencer
00lunedì 19 gennaio 2009 14:49
Qui sotto, l'articolo di Emilio Marrese, inviato da "Repubblica" ai funerali di Ivan Francescato. Gliel'ho già scritto personalmente, ma di questo pezzo lo voglio ringraziare anche qui.
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L' ultimo saluto a Ivan in lacrime i giganti buoni
Repubblica — 23 gennaio 1999
TREVISO - E' un giorno che piangono anche le rocce. Lo capisci subito, arrivando. All' uscita Treviso sud se chiedi dov' è S. Giuseppe, un casellante infilato in un casello almeno due taglie più piccolo di lui ti risponde con un' indicazione che si spezza a metà, per una frattura della voce. "Vai da Ivan, vero?". E' anche lui uno della tribù degli Uomini Quercia, che ieri ha salutato uno dei suoi guerrieri più amati. Francescato Ivan, come si dice qua, 32 anni tra 20 giorni se solo ci fosse arrivato, se solo l' affitto di quel corpo invincibile non gli fosse scaduto all' improvviso, senza deroghe, lunedì notte per un infarto. Se n' è andato ieri per sempre, con l' ultimo "hip hip hurrà" mentre la terra lo abbracciava: un urlo al piccolo cielo del cimitero di Santa Bona come la scarica di fucile a salve che si spara per un marine caduto. Sulla bara le sue tre bandiere: le maglie di Benetton, Tarvisium e nazionale. "Forse potremmo ricordarlo raccontando una barzelletta" ha cominciato così l' addio a nome di tutti i compagni Walter Cristofoletto, un "vecio" di questi mahori della Marca, l' unico che se l' è sentita di salire sul pulpito della chiesa di San Giuseppe. "Era un combattente, era l' animatore dei nostri viaggi, dei ritiri. Una giornata senza allegria era impossibile, se c' era lui. Ivan ci lascia tanti ricordi e pensare a lui ci fa solo sorridere". Bello e struggente ma non ancora vero oggi, perché dopo queste parole le lacrime sono tante per Ivan l' Indiano che se ne va, con la sua faccia di apache buono. E' il terzo tempo più triste, perché non ce ne saranno altri. Mentre la bara esce portata in spalla dai cinque fratelli Francescato, la storica stirpe del rugby italiano, e dal compagno-socio Piero Dotto, anche le rocce si contraggono in una smorfia di dolore, e cominciano a luccicare di pianto. Sì, c' è anche Luciano Benetton in prima fila col fratello Gilberto, c' è il sindaco Gentilini ma soprattutto c' è la tribù dell' ovale: mai visto un funerale così muscoloso. Hanno spalle larghissime, colli di toro, crani rasati o scalpi ossigenati ma dentro sono piccoli e fragili come non mai, poveri guerrieri spaventati e perduti perché no, nemmeno loro sono immortali. Straziante lo spettacolo di questa foresta di querce piegarsi e ondeggiare come betulle, appoggiarsi l' un l' altro come in una tempesta, non riuscire a fermare le lacrime dietro gli occhiali scuri. Popolo fiero e orgoglioso, colto e dignitoso, antico e terragno: quello del rugby è tutto qui. Non solo i compagni ma anche gli avversari di sempre e i rugbisti di ieri, nasi schiacciati e mani ancora troppo grandi per una carezza: si scambiano abbracci rumorosi che sembrano placcaggi e parlano solo dialetto veneto perché il rugby è veneto. La chiesa di periferia - uno scatolone di cemento freddo, dentro - è piena e anche la piazza fuori. Dicono siano 5 mila i trevigiani che hanno voluto applaudire Ivan "per sostenerlo - come ha detto nell' omelia don Antonio Dal Bo - mentre va verso l' ultima meta". Il campo dove cominciò a giocare è al di là della strada, questo era il suo quartiere che ieri si è fermato, abbassando le saracinesche. Ci sono gli atleti famosi del pallone, della pallavolo e del basket, e ci sono i cuccioli di guerrieri in tuta sportiva che possono piangere come grandi. Pochi i fiori, perché la famiglia ha chiesto di dare i soldi ad un centro di educazione sanitaria in Costa d' Avorio. I compagni pianteranno una quercia vicino ai campi di allenamento alla Ghirada, proprio là dove all' ingresso della palestra un' insegna dice "only the strong survive", solo i forti sopravvivono. Anche a tutto questo, sarebbe bello pensare. -
dal nostro inviato EMILIO MARRESE