16.10.2007. 18:10
di Valerio Bianchini
Per non pensare ad altro, nel recente week-end cestistico, reso dionisiaco dai riti orgiastici di Sky, si è parlato soprattutto della discoteca e della dipendenza da essa che molti giocatori di basket accusano, soprattutto nei momenti più sacri delle loro giornate, come per esempio nel bel mezzo della notte, quando la loro squadra è in ritiro. Io stesso, nei celebrati anni settanta, quando ero un giovane e fanatico “allenatore- Aiatollah”, irruppi nottetempo in una discoteca di montagna per cogliere in flagranza di reato alcuni miei giocatori in ritiro precampionato. La discoteca a quei tempi era considerata luogo di perdizione per i giovani atleti e tuttavia la sua trasgressiva frequentazione finiva per diventare per essi una specie di rito d’iniziazione. Se non sgattaiolavi fuori dall’albergo, quando il massaggiatore era sprofondato nel sonno, per raggiungere con mezzi di fortuna il celebrato luogo della trasgressione, non potevi essere accolto nel novero dei veri giocatori di basket. Logico che noi allenatori spendessimo molto tempo delle nostre riflessioni, piuttosto che sul T game di Dean Smith, su come controllare, pedinare, sorprendere con imboscate, tranelli e vere e proprie retate i reprobi impenitenti. Poi negli anni ottanta tutto si normalizzò, e andare in discoteca diventò più o meno come andare all’oratorio. Io stesso subii un processo d’assuefazione sconcertante.
Allenavo il Messaggero di Roma, squadra cui non mancava un certo “glamour”, tanto che nel parterre dei VIP, durante le partite, era costante la presenza di fascinose PR del Gilda, celebrata discoteca delle notti romane. Una domenica mi fece visita un mio vecchio giocatore e amico da Milano che aveva al seguito l’ultima moglie di una consistente serie coniugale... Una ragazza charmant e piena d’energie, che fu subito attirata dall’invito delle PR. Non ci mise molto a convincere mia moglie Marina, sicchè mi ritrovai, stressato dal post partita, verso l’una di notte, ad implorare dai buttafuori del Gilda un permesso di entrata per quattro persone. A convincerli furono forse le imponenti dimensioni del mio ex-giocatore, fatto sta che ci ritrovammo all’interno del locale stracolmo di gente. Cercai un posto per i miei ospiti nella jungla dei corpi danzanti e finalmente scoprii un ampio spazio con divanetti vuoti. Stavo chiamando i miei ospiti quando una hostess mi si avvicina e con aria severa mi dice: “ Mi dispiace signore, questi posti sono riservati ai giocatori del Messaggero”. Non me la sentii di reclamare i miei diritti dicendo che io ero il coach del Messaggero e invece balbettai: “Si ma non c’è nessuno stasera”. “Signore-replico’ la hostess - per ora potete restare, i giocatori saranno qui non prima delle tre del mattino”. Quella notte i giocatori del Messaggero sciamarono per altre discoteche.
Ma l’evoluzione definitiva a favore della discoteca la maturai negli anni novanta a Pesaro. Allora si viveva tutti, giocatori e allenatori in un condominio della società. Io avevo l’appartamento dell’ultimo piano, con vista mare e sarebbe stata una sistemazione favolosa se l’appartamento del piano di sotto non fosse stato occupato da Dean Garrett, centrone NBA che dopo l’esperienza pesarese tornò appunto nella Lega di David Stern.
Dean era un grande stoppatore e amava la musica, ma non amava ascoltarla nelle cuffie. D’altronde l’I Pod non era stato ancora inventato. Dean ascoltava la musica nella sua stanza sotto la mia camera da letto dall’una di notte in poi, tranne quando se ne andava a Rimini in discoteca e si avvaleva per l’ascolto di certe casse di amplificazione che arrivavano al soffitto e alle quali amava dare tutto lo sfogo possibile. Era allora che il mio appartamento si trasformava nella cabina di un jet in balia di una interminabile turbolenza. Certe sere io e Marina uscivamo per il cinema e al ritorno guradavamo ansiosi nel parcheggio del nostro stabile, nella speranza di non vedere l’automobile di Dean Garrett, perché ciò avrebbe significato che Dean era andato in discoteca e noi quella notte avremmo dormito. Fu allora che cominciai ad apprezzare le discoteche.
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Redazione Basketnet
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